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Lucio Fontana fotografato da Ugo Mulas nel 1965.

Lucio Fontana raccontava di quando gli fece visita un amico chirurgo e gli disse che i tagli sulla tela era capace di farli anche lui. Fontana rispose: “Anch’io sono capace di tagliare una gamba, ma so che poi il paziente morirà. Se la taglia una chirurgo, la faccenda è diversa, fondamentalmente diversa”.

Al suo amico e fotografo Ugo Mulas disse: “Non è che entro in studio, mi levo la giacca, e trac! faccio tre o quattro tagli. No, a volte, la tela, la lascio là appesa per delle settimane prima di essere sicuro di cosa farne, e solo quando mi sento sicuro, parto, ed è raro che sciupi una tela; devo proprio sentirmi in forma per fare queste cose”. E Mulas commenta: “Forse proprio per questa concentrazione e aspettativa concettuale Fontana ha chiamato i suoi quadri di tagli “attese”.

Nel mio buoio ho visto la speranza brillante

Nel mio buio ho visto la speranza brillante

Leggendo un’interessante intervista all’artista giapponese Ayumi Kudo, pubblicata su Wazars, mi sono trovata perfettamente in sintonia con questa sua risposta alla domanda “Quand’è che si sente più ispirata, più creativa?”

 Quando non sono troppo eccitata né troppo giù di morale. Nel momento in cui sono neutrale.

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Per ben cominciare l’anno nuovo rileggo con gioia il capolavoro di Jiro Taniguchi L’uomo che cammina (Panini Comics, 1a edizione 1999). Autore di fama internazionale,  Taniguchi qui dà il meglio di sé. Una serie di brevi racconti magistrali, intensamente poetici, senza trama. Un uomo che cammina ed assapora il mondo che lo circonda osservandolo in profondità, con pienezza di sensi. Come sempre il disegno è eccellente, tanto accurato nei dettagli quanto pulito ed essenziale nello stile.

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Aun Aprendo (Museo del Prado)

La sindrome di Stendhal mi colpì in un tardo pomeriggio d’autunno di tanti anni fa al Louvre, quando, ormai stremata, venni catturata dallo sguardo della marchesa Mariana Waldstein.

Delle collezioni del Louvre è il mio unico ricordo. Da allora non ho mai smesso di amare Goya e di andare appassionatamente alla ricerca delle sue opere nei musei e nelle gallerie visitati in questi anni.

Eppure questa piccola incisione, datata tra il 1825 e il 1828 (anno della scomparsa di Goya), mi era sfuggita. Un uomo ormai molto anziano, dalla barba lunghissima, piegato dagli anni, che cammina sostenendosi sui suoi due bastoni. In cima al disegno una scritta autografa: Aun aprendo, “Ancora imparo”. Una concisa quanto incisiva testimonianza dell’inossidabile volontà di continuare ad imparare di un’artista straordinario che, nonostante la vecchiaia e la malattia, lavorò ininterrottamente e con entusiasmo anche negli ultimi anni della sua vita, evolvendo la sua arte verso sempre nuove vie espressive.

Meret Oppenheim - Colazione in pelliccia

Colazione in pelliccia è un’opera d’arte che non smetterà mai di sorprendermi. Così giocosamente irritante. Ed ogni volta che la guardo il mio senso del tatto ha un divertito sussulto di ribellione.

L’idea nacque al Café de Flore, a Parigi, durante un incontro di Meret Oppenheim con Picasso e Dora Maar. Meret indossava un braccialetto ricoperto di pelliccia che aveva realizzato per Elsa Schiaparelli. Fu Picasso allora a suggerirle che tutti gli oggetti della vita quotidiana si sarebbero potuti ricoprire di pelliccia e lei osservò: “Come questa tazza, ad esempio”!

L’opera, esposta per la prima volta nel 1936 in occasione della famosa “Exposition surréaliste d’objets” organizzata da André Breton, ora fa parte della collezione permanente del MoMa di New York.

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