Sono rimasta senza parole dinnanzi all’insensatezza di questa guerra in Ucraina che sta uccidendo migliaia di vittime innocenti ed ha già costretto alla fuga più di un milione di profughi.
Durante l’epoca medievale, a cavallo tra l’XII e il XIII sec., il declino della classe nobiliare giapponese portò ad un lungo periodo di guerre intestine fra clan guerrieri. La letteratura ne fu profondamente influenzata. Gli scrittori abbandonarono i toni raffinati e bucolici per raccontare le storie di battaglia e riflettere sulla fragilità della vita umana e sull’impermanenza di tutte le cose.
Il più celebre di questi racconti, l’Heike monogatari, narra la sanguinosa guerra tra i clan samurai dei Minamoto e dei Taira. Il suo incipit, conosciutissimo in Giappone, recita così:
«Nel suono della campana di Gion riecheggia l’impermanenza di tutte le cose. Il colore dei fiori di sakura simboleggia che anche il più forte degli uomini è destinato a cadere. Neppure il ricco e potente vivrà a lungo, ma svanirà presto come il sogno di una notte di primavera. I guerrieri più potenti – anche loro – alla fine moriranno, proprio come polvere che si disperde nel vento.» (Traduzione di Dafne Borracci)
È con questo tema che ho concluso la scorsa settimana un corso che mi ha regalato molte soddisfazioni; un ciclo di lezioni per una allieva che sta sceneggiando un film il cui fil rouge sarà l’arte dell’Ikebana.
Questo tema, del resto, è quanto mai attuale in questo tragico frangente. A breve in Giappone sarà il tempo in cui sbocciano i fiori dei ciliegio e anch’essi, con la loro fugace fioritura che ogni anno si lascia ammirare solo per una manciata di giorni, ci ricordano di quanto siamo fragili. Una fragilità che accomuna tutti gli esseri viventi, anche coloro che usano il potere per ferire con meschine prepotenze i più deboli. Anche loro “alla fine moriranno, proprio come polvere che si disperde nel vento.”