Oggi ho solo bisogno di cielo. Allora mi affaccio alla finestra, punto l’obiettivo della macchina fotografica verso l’alto e scatto senza poter guardare nel mirino.⠀
Immagini di brandelli di cielo, catturati in modo del tutto casuale. Ne ho una piccola collezione.⠀
Aiutano. Evocano lo spazio infinito e il respiro si fa lento e leggero.⠀
https://www.studiospaziobianco.it/sp/wp-content/uploads/2020/03/P1430210.jpeg21282128Jennyhttps://www.studiospaziobianco.it/sp/wp-content/uploads/2019/06/LOGO.pngJenny2020-03-20 16:13:172020-03-20 16:13:21Bisogno di cielo
Kandinskij definì il bianco come “il grande silenzio pieno di possibilità”. Ecco, per me il bianco è soprattutto un concetto, l’idea di uno spazio vuoto, vivo, ricco di potenzialità. Una dimensione epifanica, rivelatrice.
Così, durante la fase di definizione del nome che avrei voluto dare al mio studio, non ho avuto esitazioni: sarà Studio Spazio Bianco.
Davanti ad una pagina bianca puoi decidere se scrivere ricollegandoti al testo precedente o creare una storia tutta nuova, oppure fare tutt’altro (scarabocchiare, disegnare, ecc.).
Quando pratichi l’ikebana, intesa come disciplina zen, impari ad andare alla ricerca proprio di questo spazio bianco, che è un vuoto vivificante, capace di accendere la tua creatività. Niente a che vedere con l’horror vacui. Anzi.
https://www.studiospaziobianco.it/sp/wp-content/uploads/2020/01/camelia-bianca.jpg10241024Jennyhttps://www.studiospaziobianco.it/sp/wp-content/uploads/2019/06/LOGO.pngJenny2020-01-12 19:29:472020-01-12 19:30:27Perché Studio Spazio Bianco?
Rivivo grazie a questo haiku, dall’essenzialità potentemente evocativa, l’atmosfera magica di quelle mattine d’inverno della mia infanzia, quando mia madre mi svegliava e mi portava in braccio davanti alla finestra per vedere la neve. L’ammiravamo insieme, in silenzio, a lungo; poi il mio stupore incantato si tramutava in desiderio incontenibile di correre fuori di casa, in giardino, per toccarla, calpestarla, assaggiarla.
A scuola era di nuovo lei la protagonista, seppur solo per un giorno. La maestra ci faceva uscire in cortile per giocare a catturare gli effimeri fiocchi di neve, adagiarli con delicatezza sul vetrino e osservare al microscopio i loro meravigliosi ricami di cristallo: istanti di pura bellezza.
Erano giornate memorabili.
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Questo bellissimo haiku è stato tradotto da Luca Cenisi (lucacenisi.net), studioso, saggista ed esperto di poesia haiku.
Nel 2014 Cenisi ha curato una raccolta dedicata alla poetessa Fukuda Chiyo-ni, una delle figure più significative di tutti i tempi nel panorama haiku. Una donna che seppe coltivare e far apprezzare il suo talento in un’epoca in cui le donne artiste erano ben poco considerate, se non del tutto ignorate.
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L’esperienza umana è di una vasta e quasi indescrivibile portata. Alcuni non possono entrare, come fossero impediti da un muro invisibile. Spesso le persone restano dentro per ore senza dire una parola, e alcuni tremano o cominciano a piangere.
Yves Klein
Le Vide (Il Vuoto). 28 aprile 1958. Galleria Iris Clert di Parigi.
Yves Klein dipinse di bianco questa piccola galleria di soli 20m². La stanza, completamente vuota, venne visitata da più di 3000 persone.
Un luogo vuoto, la cui nudità offriva agli spettatori l’esperienza di vivere uno spazio dalle infinite possibilità. Il vuoto per immergersi in se stessi. Il vuoto capace di suscitare forti emozioni. L’obiettivo di Klein era quello di creare “zone di sensibilità pittorica” attraverso l’immateriale.
Albert Camus scrisse sul registro dei visitatori: “Con il vuoto, pieni poteri”.
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Leggendo un’interessante intervista all’artista giapponese Ayumi Kudo, pubblicata su Wazars, mi sono trovata perfettamente in sintonia con questa sua risposta alla domanda “Quand’è che si sente più ispirata, più creativa?”
Quando non sono troppo eccitata né troppo giù di morale. Nel momento in cui sono neutrale.
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